La Memoria Garibaldina a Firenze

La Memoria Garibaldina

a Firenze

Accanto a ciò, lo sviluppo di un vero e proprio «mito» attorno alla figura del Nizzardo era già in atto, e non solo nel capoluogo toscano: «In ogni casa, in ogni tugurio si erano narrate le imprese dell’eroe dei due mondi, ogni uomo semplice e buono si era sentito vicino a questo eroe espresso dal popolo, a quest’uomo che aveva il cuore grande com’è grande il cuore del popolo», un cuore che esaltò un’intera generazione che «si rispecchia in lui e lo riconosce come il migliore». Nell’ultimo decennio del Risorgimento fu amplissima in Toscana la partecipazione alle imprese garibaldine, in particolare da parte dei ceti popolari cittadini e borghigiani, e ad esse non furono estranee neanche gli strati più umili della popolazione. La cittadinanza fiorentina, inoltre, si attivò anche mediante sostegni indiretti, ovvero tramite sottoscrizioni ed oblazioni in favore dei più disparati comitati, come quei famosi “Comitati di soccorso a Garibaldi” che nel 1861 si trasformarono nei “Comitati di provvedimento per Roma e Venezia”, i quali col tempo si andarono a costituire come vera e propria «struttura portante, politica e organizzativa, del garibaldinismo». In questo brodo di coltura, che vide la cittadinanza fiorentina attivarsi anche in occasione di agitazioni estere, come fu il caso dell’insurrezione polacca del 1863-64 verso cui la popolazione urbana si mostrò ampiamente solidale, attecchirono pochi anni dopo i semi di un internazionalismo di tendenza bakuninista, fortemente rivolto all’insurrezione come mezzo per l’emancipazione sociale. Proprio il capoluogo toscano vide a più riprese i tentativi dello stesso Garibaldi di «unificare il movimento associativo, mazziniano, mutualistico, razionalistico, massonico, democratico» (ricordiamo qui il ruolo giocato negli anni Settanta dell’Ottocento dalla Società Democratica Internazionale prima e dall’Unione Democratica Sociale poi, anche se entrambi i sodalizi ebbero vita molto breve).

Il nostro intento è pertanto quello di ripercorrere questo impegno, non tanto però nel suo attivo dipanarsi negli anni dell’epopea propriamente detta, quanto nell’immediato e successivo stratificarsi delle memorie: istituzionali e moderate, popolari e oppositive alla narrazione predominante, figlie di iniziative pubbliche o di volontà private. Non mancherà, a sostenere questo discorso, una panoramica sull’associazionismo garibaldino dal suo esordio ottocentesco fino alla rinascita democratica nell’immediato secondo dopoguerra.

L'obelisco di piazza dell'Unità d'Italia
L’obelisco di piazza dell’Unità d’Italia

L’associazionismo garibaldino in età liberale

In Toscana le prime associazioni di veterani e reduci dalle Patrie Battaglie si costituirono già a partire dalla metà degli anni Sessanta dell’Ottocento, e nel 1875 erano presenti in regione ben otto società di reduci (la cui denominazione, come ha giustamente notato Fulvio Conti, «non ha un rilievo puramente semantico, bensì indica differenti opzioni politiche e ideologiche», di norma di stampo democratico e repubblicano, a differenza di quelle dei veterani, solitamente d’ispirazione monarchica e costituzionale), due di veterani e tre fratellanze militari.

Queste associazioni – e specialmente quelle di stampo garibaldino, ovvero quelle che interessano la nostra narrazione – contribuirono non poco «Con le loro uniformi, con le loro bandiere, con le distribuzioni di medaglie, con l’inaugurazione di monumenti, con la rigorosa ritualità delle cerimonie funebri» a propagare tutta una serie di ideali patriottici e nazionali, contribuendo a dotarli, agli occhi della popolazione urbana e dei centri rurali, «di precisi riferimenti simbolici». Molto spesso, furono proprio questi sodalizi che si fecero carico – o parteciparono attivamente – alla posa di targhe o lapidi (le cosiddette “memorie di pietra”) e al processo di monumentalizzazione della memoria garibaldina e risorgimentale. Semplici pietre che ricordano unicamente la data in cui passò o dimorò Garibaldi, fino ai più scenografici omaggi all’Eroe dei Due Mondi, tutte queste manifestazioni memoriali erano la chiara «espressione del mito» garibaldino: esse difatti, affermò Luigi Lotti, «Attestano [la] trasposizione del mito di Garibaldi da protagonista dell’unità a personificazione delle prospettive politiche che egli rappresentava e che erano rimaste sconfitte nel processo unitario», ma che già all’indomani della sua ultima campagna militare, combattuta in terra straniera, cercavano nuove vie, coagulandosi in nuovi fasci e sodalizi, per giungere a concretare quelle idee di emancipazione sociale, fratellanza e solidarietà internazionale di cui Garibaldi era simbolo vivente.

Uno dei maggiori sodalizi sorti a Firenze fu certamente la “Società democratica indipendente fra i Reduci Garibaldini”, che dal 1892 assunse la denominazione di “Società Democratica di Mutuo Soccorso fra i Reduci Garibaldini” e quindi di “Società Democratica di Mutuo Soccorso fra i Reduci Garibaldini e Superstiti di Mentana”. Essa aveva finalità di mutuo soccorso e di diffusione dei «principii dell’amore alla Patria, dell’eguaglianza e della fratellanza fra i popoli, ispirandoli completamente alle idee del Generale Garibaldi col motto: uno per tutti, tutti per uno, continuando la lotta per completare la libertà e unità italiana, nonché della sovranità del popolo». Nel 1892 lo Statuto fu modificato in senso avanzato, in quanto venne prevista la partecipazione del sodalizio «alle elezioni politiche e amministrative». Erano previste due solenni commemorazioni annuali: «la prima il 2 giugno anniversario della morte del Generale Garibaldi, e il 3 novembre o la prima domenica o giorno festivo successivo dell’anniversario della Battaglia di Mentana», alle quali si aggiunse – dopo la sua istituzione nel 1895 – «il 20 Settembre, anniversario della caduta del potere temporale dei Papi». Era inoltre prescritta all’articolo 20 che «Nella prima Assemblea Generale di ogni anno [venisse] eletta una Commissione composta di 5 soci per la sollecitazione in prò del riconoscimento della campagna del 1867» a fini onorifici e previdenziali. Nel 1887 il Comune assegnò gratuitamente alla Società un locale delle Scuole Comunali “Luigi Alamanni” (piazza della Stazione 3) da utilizzare come sede associativa. Nell’agosto 1889 la Società fu trasferita in un locale di un’altra scuola comunale, situata in via Leonardo da Vinci 23. Nell’ottobre 1895 fu quindi fatta trasferire in alcune stanze di Palazzo Strozzi, che però poté utilizzare per un unico semestre (fino al febbraio 1896), al ché, nel maggio, la Società fu costretta ad affittare un locale in via S. Gallo.

Nel 1877, essa aveva nel frattempo contribuito con un obolo di 7,20 £ alla realizzazione dell’Ara-Ossario di Mentana (Roma), che venne inaugurata il 3 novembre in occasione del decennale della battaglia. La denominazione stessa della Società, richiamante i fatti del 1867, evocava secondo Fulvio Conti «la radicalizzazione del garibaldinismo in senso anticlericale e dava voce a un sentimento di delusione verso la dinastia sabauda, rea di aver tradito le aspirazioni popolari alla presa di Roma e al compimento dell’Unità».

Molto probabilmente al 1890 esisteva anche una “Società di Mutuo Soccorso fra i Reduci Garibaldini di Firenze”, con finalità assistenziali, presieduta dal reduce dei Mille Francesco Curzio, la cui sede sociale era in Piazza della Signoria 8.

Sempre a Firenze, il 23 giugno 1900, fu costituita la Confederazione toscana del “Fascio democratico Garibaldino”, il cui «gran primate» era il generale Stefano Canzio. Scopo del sodalizio era «di mantener viva nel popolo, e più specialmente nella gioventù, la tradizione Garibaldina, che si incardina e si compendia nelle parole: Patria, Umanità, Emancipazione Politica». Essa era aperta non solo a tutti i reduci garibaldini, ma anche a «tutti i giovani i quali, compresi del sentimento di avere una Italia forte, libera, indipendente, accettando i principii della fratellanza, della democrazia e della solidarietà, vengano a chiedere di farne parte». Il Fascio aveva uno scopo eminentemente politico, volendo «inculcare il criterio della sovranità popolare in tutte le manifestazioni della vita nazionale», «combattere per ottenere ogni più ampia libertà dell’individuo in armonia col diritto delle genti, col rispetto alla famiglia, al Comune, allo Stato», «promuovere con tutte le forze ed in ogni occasione il riconoscimento dei diritti morali e materiali delle classi lavoratrici», anche attraverso la propaganda elettorale in occasione dei comizi amministrativi e politici per i «candidati accettati dal Fascio Garibaldino».

La lapide ed il busto dedicati alla memoria di Giuseppe Dolfi (Borgo San Lorenzo 4)
La lapide ed il busto dedicati alla memoria di Giuseppe Dolfi
(Borgo San Lorenzo 4)

Per tornare alla questione della diffusione del mito garibaldino in città e in regione, prologo necessario all’analisi delle memorie qui sedimentatesi, è bene ricordare che il Nizzardo transitò a Firenze o vi sostò in diverse occasioni. Luigi Lotti ha evidenziato come i suoi ripetuti passaggi in Toscana siano sempre stati connessi «con momenti essenziali delle sue iniziative risorgimentali», trovando in questo territorio «snodi significativi nel ’48, nel ’49, nel ’59 e nel ’60, o essenziali punti organizzativi nel ’62 e nel ’67». In merito a questi ultimi due episodi, è interessante riportare il giudizio di Cosimo Ceccuti, per il quale il mito di Garibaldi in regione si rafforzò «non attraverso l’epopea, che ha luogo altrove […] ma attraverso vicende “apparentemente” negative, apparenti sconfitte, che in realtà esaltano la figura e il valore dell’uomo, dell’eroe che scende dal piedistallo per salire in una sfera ancora più alta, pervasa da una intensa umanità, il requisito primo che lo fa amare dalla gente». Ricordiamo qui soltanto alcuni degli episodi legati ai suoi soggiorni fiorentini (il primo dei quali, fugace, risale all’autunno del 1848): nel 1859, ad esempio, dopo l’armistizio di Villafranca e la nomina a capo dell’esercito della Lega Militare Difensiva (costituitasi fra i territori toscano, modenese e romagnolo, liberatisi dei loro antichi governanti), fu nel capoluogo toscano che Garibaldi assunse il comando della divisione toscana di quell’armata (15 agosto), ed in seguito il ruolo di comandante in seconda delle truppe della Lega dell’Italia centrale, allora guidate dal generale Manfredo Fanti (27 settembre). Otto anni dopo, il 22 ottobre 1867, arringò la folla di piazza S. Maria Novella, infiammandola affinché marciasse con lui sulla via di Roma. Ospite della famiglia Lemmi, Garibaldi era giunto in città due giorni prima: nelle sue Memorie è ancora impresso il suo stupore per le «dimostrazioni di gioia» che lo accolsero: «eppure trattavasi di acquistar Roma capitale d’Italia, e togliere il primato alla metropoli, madre di Galileo e Michelangelo. Ed il generoso popolo di Firenze giubilava». Tornò in città dopo appena due settimane, all’indomani della sconfitta di Mentana, ma in stato di fermo, condizione che gli avrebbe ancora una volta aperto le porte del forte di Varignano (presso La Spezia).

La monumentalistica pubblica a Firenze

Le tracce dei suoi passaggi e la successiva memoria pubblica si sono sedimentate nei marmi delle lapidi e nei bronzi delle statue, a lui dedicate per volontà di specifici personaggi o interi sodalizi, od ancora tramite l’azione di Comitati più o meno farraginosi: questa memoria, pertanto, poteva assumere un significato diverso a seconda dell’epoca d’inaugurazione, dei committenti e delle epigrafi riportate. La monumentalistica pubblica cominciò a cambiare il volto di Firenze a partire dall’ultimo quarto dell’Ottocento: secondo Sheyla Moroni, le statue post-risorgimentali si posero per la maggior parte «come vettori di adesione al “giubilo” per la “nazione unita” (in linea con lo sviluppo della monumentalistica pubblica nazionale), ma anche a parziale risarcimento delle scelte politiche posteriori al 1871», che avevano lasciato la città non solo priva del ruolo di capitale del Regno, ma anche con un pesante fardello fatto di un gravissimo deficit di bilancio ed un’urbanistica letteralmente «dissestata». Nonostante ciò, forte rimase l’intento celebrativo e pedagogico dipanatosi nel corso di questo periodo.

Già all’indomani della morte dell’Eroe dei Due Mondi, annunciata alla cittadinanza fiorentina dai rintocchi della campana della Torre di Arnolfo, un comitato provvisorio promosse un’adunanza di cittadini ed associazioni allo scopo di «scambiare alcune idee sulla costituzione del Comitato Generale unico, per le onoranze e pel monumento al Generale Garibaldi». Il 2 luglio successivo vide così la luce un “Comitato Fiorentino per le Onoranze e pel Monumento a Giuseppe Garibaldi”, presieduto dal principe Tommaso Corsini e di cui facevano parte – fra gli altri – i reduci dei Mille Francesco Curzio (vice-presidente) e Giovanni Del Greco (segretario): furono immediatamente decise le modalità delle solenni onoranze che si tennero in città sette giorni dopo. Il 9 luglio un catafalco fu innalzato in Piazza dell’Indipendenza e circondato da trofei di armi e bandiere, mentre un battaglione prestava la guardia d’onore in occasione del passaggio del corteo «di tutte le rappresentanze che deponevano corone votive». Ai quattro lati del monumento provvisorio spiccavano altrettante epigrafi dettate dal prof. Curzio, che fu anche designato quale oratore della cerimonia. Egli sottolineò come «Nessuno quanto Garibaldi fu animato dal vero spirito di umanità. Difese in America la libertà, cooperò potentemente alla redenzione italica, corse in aiuto di altri popoli oppressi. In queste tre frasi, che compendiano la di lui vita, v’è il concetto d’un intero secolo ch’egli abbracciò, fece suo». Egli «fu la più bella espressione del nostro secolo, lo compendiò, lo superò; [Garibaldi] dischiuse una nuova era, quella dell’affratellamento dei popoli; e volle la ragione sostituita alla impostura sotto qual siasi manto si nasconda; che fu tutto per tutti, nulla per sè». In quella stessa giornata ebbe inizio una sottoscrizione pubblica per la realizzazione di un monumento definitivo all’Eroe, che però avrebbe visto la luce solamente otto anni dopo, nel 1890. Opera dello scultore Cesare Zocchi (che divenne «ben presto uno degli interpreti ufficiali dell’epopea risorgimentale e dei suoi miti», tanto da firmare altre due statue “garibaldine”, quella ravennate dedicata all’Indipendenza italiana e ad Anita Garibaldi e quella napoletana, ancora raffigurante il Generale), l’inaugurazione ebbe luogo la mattina di domenica 8 giugno, alla presenza del sindaco conte Francesco Guicciardini e delle rappresentanze garibaldine (definite gli «antichi compagni del duce [che] come chiamati da forza arcana, accorrono da ogni città, si ritrovano, si riuniscono in unione fraterna, ridestando nel popolo che li contempla commosso, a memoria educatrice delle battaglie combattute per la risurrezione d’Italia»). Il discorso del primo cittadino rispecchia perfettamente l’idea sottesa alla “monumentomania” così diffusa in età crispina: «Il monumento che oggi inauguriamo […] è specialmente espressione di un pensiero altamente educativo. La vita di Giuseppe Garibaldi è un libro dove tutti dal più umile dei cittadini, all’uomo investito dei più alti poteri, possono e debbono imparare; sia dunque il simulacro di lui permanentemente esposto alla vista del popolo, affinché, coi ricordi che evoca, le generazioni che si succedono ammonisca e conforti». Al pomeriggio fece seguito l’imponente corteo della “Legione garibaldina” composta da ben 1.317 camicie rosse (suddivise in 11 compagnie, di cui 7 esclusivamente fiorentine), accompagnate da innumerevoli circoli, sodalizi e rappresentanze civili, operaie e militari. Il corteo, mossosi da via Carlo Alberto, giunse alla statua eretta sul Lungarno Amerigo Vespucci per salutarla, per poi riprendere il percorso fino a sciogliersi, due ore dopo, in Piazza S. Maria Novella.

Il monumento, che vede Garibaldi rivolgere il suo sguardo verso la basilica di San Miniato, presenta la dedica della città di Firenze su una targa in bronzo, e quattro scudi – uno per ogni lato del basamento inferiore – dove sono incise alcune tappe dell’epopea: Montevideo, Marsala, Roma e Digione. Laddove è citata quest’ultima battaglia, il 14 luglio 1916 (in occasione dell’anniversario della Presa della Bastiglia) fu aggiunta una pietra con lettere in bronzo a ricordo dei fiorentini dell’Armata dei Vosgi caduti presso il capoluogo della Costa d’Oro.

Per inciso, non è indifferente notare che già nella seconda metà dell’agosto 1859 la giunta municipale aveva dedicato a Giuseppe Garibaldi una via che dall’odierno Lungarno Vespucci termina al Prato dopo aver attraversato corso Italia, via Solferino e via Montebello, in quella che fu la «prima impetuosa ondata di nuove intitolazioni di strade» (le stesse vie Solferino e Montebello furono così rinominate in questo frangente).

Lapide a Ferdinando Zannetti (via dei Conti 1)
Lapide a Ferdinando Zannetti
(via dei Conti 1)

Ben prima di questo monumento, erano già sorte significative testimonianze in onore e memoria di altre imprese risorgimentali. Nel dicembre 1848, ad esempio, su deliberazione del gonfaloniere Ubaldino Peruzzi, vennero apposte nella basilica di Santa Croce due tavole in bronzo che riportavano i nomi dei fiorentini caduti nella battaglia di Curtatone e Montanara (29 maggio): i giovani studenti toscani venivano così simbolicamente inseriti «nel pantheon delle glorie della nazione». Le targhe divennero fin da subito «un luogo di devozione e, contemporaneamente, un simbolo di resistenza politica per la città», tant’è che furono asportate subito dopo la restaurazione granducale e trasferite nella Fortezza da Basso. La loro seconda affissione in Santa Croce fu uno dei primissimi atti che seguirono la “pacifica rivoluzione” del 27 aprile 1859: al contempo, il 29 maggio fu sanzionata quale festa solenne da commemorare annualmente in quella stessa basilica «a spese pubbliche». In seguito, le targhe furono nuovamente – e definitivamente – rimosse.

Proprio in occasione del trentaquattresimo anniversario dei fatti di Curtatone e Montanara, il 29 maggio 1882, fu inaugurato – in piazza dell’Unità d’Italia, che aveva appena mutato nome da “piazza vecchia di S. Maria Novella” – l’obelisco «Ai Caduti per la Patria / dal MDCCCXXI al MDCCCLXX», opera dell’architetto Riccardo Mazzanti e dell’ingegnere Giovanni Pini. Su di esso si andarono sedimentando svariate e successive iscrizioni, da quelle in onore ai soldati morti nelle campagne africane di fine Ottocento fino ai caduti fiorentini della Resistenza, ricordati con una placca datata 11 agosto 1994 (cinquantenario della liberazione di Firenze). È interessante registrare l’omaggio dei «Veterani 1848-49» ai «Valorosi caduti di Adua» e dei «Reduci dalle Patrie Battaglie» ai «Soldati e Marinai / caduti nella guerra / di Libia» (24 giugno 1913), ai quali poi si aggiunsero gli onori di marca irredentista dedicati a Guglielmo Oberdan, Cesare Battisti e Nazario Sauro nonché quello «Ai Toscani / caduti nella / guerra mondiale / 1915-1918».

Memorie di pietra

Abbiamo detto in precedenza che non fu certamente di scarsa importanza l’ampia disseminazione di lapidi e targhe commemorative, che a Firenze sorsero soprattutto su iniziativa privata, e che al pari dell’intento celebrativo non mancavano di “istruire, di diffondere notizie e utili cognizioni nella gioventù e tra il popolo” attraverso l’esempio della persona o dell’evento rammemorato. Non è pertanto fuori luogo presentare una breve rassegna delle più significative targhe commemorative che ancora oggi si possono trovare nei più svariati luoghi della città.

Nel 1899 fu apposta una lapide su una casa sita in via Senese 175, località “Due Strade”, per commemorare il soggiorno di Garibaldi a Firenze del settembre del 1866, in occasione delle sue dimissioni da comandante del Corpo dei Volontari Italiani dopo il famoso «Obbedisco» del 25 luglio precedente. La lapide, murata su quella che forse fu l’abitazione di Francesco Crispi, recita: «Seco recando / i fati d’Italia e di Roma / qui / nell’ottobre [sic] del 1866 / Giuseppe Garibaldi / per breve ora posava. / Il popolo memore / 25 luglio 1899».

In quello stesso anno venne inaugurato un busto (ad opera di G. B. Tassara) in ricordo del capo-popolo repubblicano Giuseppe Dolfi, primo presidente della Fratellanza Artigiana nonché primo esponente del Risorgimento democratico e popolare ad essere commemorato in tal modo in città (con Giuseppe Montanelli, Dolfi fu inoltre il primo di questa schiera a cui fu intitolata una via della città, con una delibera della giunta comunale datata 16 aprile 1889). Fin dal 1870, ad un anno dalla sua scomparsa avvenuta il 26 luglio 1869, era stata murata una lapide «per onorare la memoria del virtuoso popolano / che la modesta vita dedicò / alla causa della libertà». Essa fu apposta in Borgo San Lorenzo 4, in corrispondenza della sua abitazione e della sede della sua ditta, la «Premiata fabbrica di pane e pasta». Accanto al busto campeggiano due bassorilievi che ricordano i suoi incontri con Mazzini e Garibaldi. L’inaugurazione fu la prima manifestazione cittadina dopo lo stato d’assedio proclamato dopo i moti dell’anno precedente: l’Estrema locale la sfruttò pertanto per rientrare nell’arena pubblica con un corteo in cui spiccarono bandiere di società operaie e logge massoniche, nonché i garofani degli aderenti al Partito socialista.

Il 22 novembre 1903 fu apposta, per volontà della Fratellanza Artigiana, una lapide a Gustavo Modena in via Tornabuoni, nel centenario della nascita del patriota e attore. Il ricordo è incentrato sul suo impegno come direttore del periodico “La Costituente”, «apostolato quotidiano / di unità repubblicana, per sollevare / i popoli d’Italia a dignità di nazione». In quella stessa epoca la giunta guidata dal marchese Niccolini gli dedicò una via.

Lapide a ricordo della scomparsa di Ettore Socci (via della Pergola 64)
Lapide a ricordo della scomparsa di Ettore Socci (via della Pergola 64)

Vent’anni prima il Comune aveva murato, sulla casa in cui abitò e morì il 3 marzo 1881, una lapide in onore del medico chirurgo, patriota e senatore del Regno Ferdinando Zannetti, il quale è ricordato ancora oggi per la sua opera prestata in favore del generale Garibaldi dopo la ferita subìta ad Aspromonte, al quale Zannetti asportò la pallottola “regia” con una delicata operazione eseguita a Pisa nel novembre 1862. Anche a lui, nel 1896, gli venne dedicata una strada.

Notevole è il caso di Ettore Socci, al quale i repubblicani fiorentini dedicarono una targa in occasione del terzo anniversario della sua scomparsa. Essa è murata in corrispondenza dell’ex ospedale dermosifilopatico (via della Pergola 64), dove il veterano garibaldino, «umile eroe della Patria / e dell’Umanità», morì il 18 luglio 1915. Quand’era ancora in vita, nel 1908, gli era stata dedicata una piazza nel quartiere di Rifredi, su iniziativa della giunta popolare guidata da Francesco Sangiorgi. Nel 1928 l’allora podestà Antonio Garbasso (su impulso della sezione fiorentina dell’Associazione Nazionale Combattenti e del Circolo “Nazario Sauro”) decise di mutare la denominazione in “Dalmazia”, toponimo ancora oggi esistente. Socci (repubblicano pisano, garibaldino nel 1866-67 e in Francia nel 1870-71, deputato al Parlamento, giornalista e scrittore) venne definito un «sovversivo acceso e militante» che sotto il regime fascista sarebbe stato considerato un “nemico della Patria”, e che pertanto non avrebbe avuto diritto a «figurare sulle piazze e nelle vie delle città Italiane». Il documento citato – un invito a Garbasso di mutare la denominazione, che Iacopo Nappini ha riportato in un suo recente articolo – testimonia «un’accelerazione radicale nell’uso della toponomastica», poiché a quest’azione sottendeva la volontà «di liquidare e sopprimere la toponomastica sgradita e di riconsacrare alla patria la piazza principale di Rifredi». D’altronde, lo stesso Nappini ha sottolineato come «Dare il nome alle cose è un gesto simbolico potente, un atto che consacrando con un nome una strada, vuole anche legittimare le scelte politiche, oggi come allora, lasciando il segno della cultura di coloro che le hanno volute».

Ancora oggi infine, nella Loggia della Signoria, campeggia una lapide murata «Per decreto del Comune», che rammenta «i nomi dei cittadini fiorentini decorati di ordine cavalleresco o di medaglia al valor militare nelle guerre combattute per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia dal 1848 al 1870».

Il mito del 1867 a Firenze

Lapide affissa sotto la Loggia della Signoria in ricordo dei fiorentini decorati nelle guerre per l'Indipendenza ed Unità d'Italia del 1848-70 (piazza della Signoria)
Lapide affissa sotto la Loggia della Signoria in ricordo dei fiorentini decorati nelle guerre per l’Indipendenza ed Unità d’Italia del 1848-70
(piazza della Signoria)

Come abbiamo visto, il 1867 fu senza ombra di dubbio un passaggio della tradizione garibaldina particolarmente sentito a Firenze, dove ai caduti di Mentana venne dedicato un monumento inaugurato nel 1902 nell’omonima piazza (così denominata già dal 19 novembre dell’anno precedente). Abbiamo scritto come Firenze fu uno snodo fondamentale già nei mesi precedenti alla campagna dell’Agro Romano sia dal punto di vista organizzativo che militare. Garibaldi era giunto in città nel febbraio, ospite dei coniugi Alberto e Jessie White Mario, poiché in procinto di lanciare la sua campagna elettorale in occasione del rinnovo della Camera dei Deputati, appena sciolta per decisione regia. Sul colle di Bellosguardo Garibaldi si era fermato anche l’anno precedente, e al civico 1 di quella piazza fu in seguito murata una lapide dettata da Giovanni Bovio che recita: «La democrazia di Firenze / volle ricordabile / questa casa che accolse / Giuseppe Garibaldi e Alberto Mario. / MDCCCLXXXV». Tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo Garibaldi batté mezza Emilia, il Veneto e la Lombardia arringando la folla sulla necessità di coronare l’Unità d’Italia con la presa di Roma. Dopo la sua elezione a deputato, il Nizzardo trascorse il resto della primavera e tutta l’estate immerso in una frenetica attività organizzativa e propagandistica, sullo sfondo della campagna toscana (ricordiamo in particolare il suo soggiorno presso la Villa Castelletti di Signa, ospite tra maggio e giugno del deputato Leopoldo Cattani Cavalcanti). Notevole fu la visita che il 15 luglio fece a Gavinana, sostando sulla tomba del condottiero Francesco Ferrucci, un avvenimento ricordato nel borgo da un marmo che si chiude con le seguenti parole: [Garibaldi] «eccitava il popolo alla conquista della Capitale / gridando / Roma e Vita». Dopo aver partecipato al Congresso della Pace a Ginevra, nella seconda metà di settembre era di nuovo in Toscana, pronto a partire per il confine pontificio. Il 24 settembre, però, fu arrestato nella cittadina senese di Sinalunga, sulla strada per Orvieto. Giunta la notizia a Firenze, rammentò Alberto Mario, «il popolo […] mareggiava sulle vie furibondo, né gli facea ritegno la truppa numerosa, e ricordo la cavalleria fischiata in piazza della Signoria; e se al Rattazzi non fosse venuto d’involarsi in tempo in un calesse e di rifugiarsi al Pitti, io credo che, in quel furore, egli non avrebbe salvata la vita».

All’inizio di ottobre la campagna era cominciata, e Garibaldi avrebbe raggiunto le sue camicie rosse dopo una rocambolesca fuga da Caprera a bordo del Beccaccino, un piccolo legno comprato sull’Arno con cui raggiunse l’isola della Maddalena e da lì l’Italia centrale. A Firenze Garibaldi ebbe contatti con Rattazzi, dimessosi il 19 ottobre da capo del governo, e con il generale Cialdini, sondato dal re per la formazione di un nuovo esecutivo. Nessuno stavolta gli impedì di sconfinare in territorio papale: poté così raggiungere suo figlio Menotti il giorno 23 a Passo Corese. Ventiquattr’ore prima, Garibaldi si era congedato dalla popolazione cittadina arringandola da un balcone di Piazza S. Maria Novella: «Ho bisogno di parlarvi col cappello in mano, perché ho bisogno di supplicarvi, di intenerirvi. Abbiate pietà di Roma, abbiate pietà d’Italia, non vi lasciate sgomentare da vane minacce. Noi abbiamo il diritto di avere Roma; Roma è nostra: se esitiamo, saremo coperti di vergogna, non oseremo più chiamarci italiani. Per me quest’altro poco di vita che m’avanza lo voto all’Italia». La giornata fu commemorata da ben due lapidi: una che, sintenticamente, ricorda il soggiorno di Garibaldi presso l’albergo Bonciani: «Giuseppe Garibaldi / qui / faceva dimora / il 22 ottobre 1867» (via de’ Panzani 17); l’altra, posata il 2 luglio 1882, che rammenta invece «le memorabili parole» indirizzate al «popolo plaudente», le quali («O Roma o morte») «preludia[vano] la spedizione di Mentana / che restituiva / all’Italia / la sua capitale / all’umanità / il libero esame». Dopo la tragica giornata del 3 novembre, Garibaldi sarebbe stato nuovamente arrestato, ed ancora una volta trasferito al forte del Varignano, prima di essere riportato nella sua Caprera. Lo stesso Felice Cavallotti, in occasione dell’inaugurazione del monumento a Garibaldi nel luglio 1890, ricordò che il Nizzardo partì proprio dalla «gentile Toscana» per «quel glorioso Calvario» che fu la campagna dell’Agro Romano: «Qui in Toscana fu la sua settimana degli olivi. […] fu proprio sui luoghi che il piccolo esercito di Ferruccio percorse, da Pisa marciando alla fatal Gavinana, ch’ei venne meditando l’impresa sacra di Roma. Era un presagio oscuro del destino? era un’arcana coincidenza? un presentimento dell’anima che sentiva il suo fato? – Io lo ignoro. […] Io dico solo questo: che, certo, fu per fascino e raccostamento di memorie, per segreto innamoramento dell’anima, ch’egli sui luoghi di Ferruccio venne meditando Mentana».

Il 27 aprile 1902 fu inaugurato nell’omonima piazza il Monumento ai Caduti di Mentana e di Monterotondo, ad opera di Oreste Calzolari (lo «scultore ufficiale del ‘garibaldismo disciplinato’», che nel 1906 realizzò il monumento fiesolano dedicato all’incontro di Teano), solamente il secondo del suo genere in Italia dopo quello milanese eretto nel 1880. Il monumento, in marmo e bronzo, voluto dalla locale Società dei Reduci e ad essa offerto gratuitamente dal Calzolari, vede un garibaldino ferito che, mentre sostiene il corpo di un compagno morente, spara ancora in direzione del nemico. Sul basamento due rilievi bronzei ricordano rispettivamente le battaglie di Monterotondo e Mentana. Essi furono significativamente donati dai «fratelli triestini» (il primo) e dai «fratelli trentini» (il secondo) e non è un caso che l’oratore chiamato a battezzare il monumento fu proprio il prof. Alberto Eccher Dall’Eco, fisico trentino di Mezzolombardo, volontario garibaldino nel ’66 e ancora – ormai ultrasettantenne – nella Prima guerra mondiale: «Tu, forte e gentile Firenze, che conti fra i prodi qui onorati diversi dei tuoi figli, e tanti ne contavi fra le schiere che seguirono il Duce nella generosa e sventurata impresa, Tu, sacro asilo in tempi difficili ai profughi pensatori, che lavoravano alla nostra riscossa, Tu dovevi pure avere un monumento che ricordasse ai posteri i martiri che prepararono la liberazione di Roma; Tu che dovevi espiare le torture del Galileo, il capestro del Savonarola, lasciati consegnare vigliaccamente alla Santa Inquisizione». Già dodici anni prima, in occasione dell’inaugurazione del monumento di Zocchi, la sezione milanese del Circolo Garibaldi di Trieste aveva inviato, per conto del Comitato Centrale, «il saluto dei fratelli triestini-istriani alla gentile e patriottica Firenze, la quale inaugura degno monumento al grande Italiano che volle un’Italia unita e forte entro i suoi naturali confini». Fu molto probabilmente in quest’occasione che la “Società fra i Reduci Garibaldini e Superstiti di Mentana” fece coniare una medaglia commemorativa di forma triangolare (si conoscono esemplari in argento, bronzo e metallo dorato) che sul dritto presenta l’iscrizione «Reduci – Mentana – Firenze», che racchiude il profilo di una lupa capitolina, e sul verso una stella raggiante a cinque punte (simbolo dell’Italia) e la scritta «Insurrezione – Agro Romano – 1867».

La Federazione Nazionale Volontari Garibaldini

Durante il regime mussoliniano l’associazionismo garibaldino in Italia fu fascistizzato e razionalizzato, egemonizzato com’era da Ezio Garibaldi, posto a capo della FNVG sin dal 1925. Nella provincia di Firenze si registrò lo scioglimento della «società Veterani Garibaldini Fiorentini, la società Garibaldini di Mentana e società dei Reduci delle Patrie Battaglie», la qual cosa portò alla formazione di un unico sodalizio provinciale che poteva contare al 1933 su 112 camicie rosse (di cui 43 residenti nella sola Firenze). Nel luglio di quell’anno la sezione fiorentina era presieduta dal reduce di Domokos Fernando Agnoletti, a cui subentrò dopo la sua morte il conte Mario Gigliucci (veterano del ’66). Il 24 maggio 1938 fu inaugurato il labaro della sezione regionale toscana (retta dal 1935 da Mario Menesini, subentrato al dimissionario conte Francesco Dante Della Torre), che poco tempo prima era stata intitolata alla memoria dello stesso conte Gigliucci, scomparso il 13 gennaio dell’anno precedente.

Lapide in ricordo del discorso di G. Garibaldi del 22 ottobre 1867 (piazza S. Maria Novella 21)
Lapide in ricordo del discorso di G. Garibaldi del 22 ottobre 1867 (piazza S. Maria Novella 21)

Risale a questo decennio l’inaugurazione sulla facciata della Basilica di San Marco della lapide dedicata al padre domenicano Egidio Raimondo Maccanti, cappellano della Brigata “Alpi” caduto nel 1918 in Francia durante la Grande guerra. Nato il 21 marzo 1876 a Carmignano (frazione di Poggio a Caiano, nell’attuale provincia di Prato), p. Maccanti ascese fino al grado di tenente cappellano del 51° Reggimento di Fanteria (RF). Per le sue onoranze fu nominato nel 1933 un Comitato d’onore presieduto dal maresciallo conte Pecori Giraldi (coadiuvato, tra gli altri, dal vescovo castrense, dal prefetto di Firenze, dal gen. Gallina comandante della Brigata “Alpi” e dai colonnelli comandanti il 51° e 52° RF) ed uno esecutivo capeggiato da Ezio Garibaldi. La lapide fu inaugurata il 10 luglio 1934, in una giornata cominciata con una messa al campo officiata presso il Quadrato dei garibaldini di Trespiano. La cerimonia, caratterizzata da una simbologia più fascista che garibaldina (nella cronaca pubblicata su “Camicia Rossa” si accennò alla continuità tra camicie rosse e nere), culminò con lo scoprimento del marmo murato sul lato sinistro della Basilica.

Il Quadrato dei garibaldini dal 1932 ad oggi

Alla stessa epoca (1932) data l’istituzione del citato “Quadrato dei garibaldini”, che risentì nel suo utilizzo commemorativo della fascistizzazione dell’associazione: ad esempio, l’alzabandiera era previsto non solo in occasioni eminentemente garibaldine (tra le quali non mancava naturalmente l’anniversario di Mentana), ma anche propriamente fasciste, come il 28 ottobre (anniversario della Marcia su Roma). Certamente, l’erezione del monumento «Ai Garibaldini caduti in Balcania», fortemente voluto dai reduci toscani della Divisione Italiana Partigiana “Garibaldi”, contribuì a depurare la memoria del Risorgimento dalla contaminazione fascista, legando al contrario quelle imprese ottocentesche alle vicende resistenziali del 1943-45. In tal senso è estremanente significativa la stratificazione delle memorie sul monumento a Garibaldi eretto in località Peretola a fine Ottocento. Esso fu inaugurato nell’omonima piazza il 21 luglio 1895 – ben undici anni dopo la costituzione del comitato per l’erezione del monumento fortemente voluto dalla “Società di Mutuo Soccorso nel quartiere di Peretola-Petriolo”. Il monumento si compone di una statua in bronzo, opera di Antonio Garella (autore dei monumenti equestri, sempre dedicati a Garibaldi, a Pistoia e La Spezia), il quale la plasmò secondo i dettami del verismo ottocentesco, senza richiedere per essa alcun compenso. Sul fronte del basamento è presente la dedica dettata da Giovanni Bovio: «A / Giuseppe Garibaldi / nelle storie capitano unico / che restituì non conquistò. / Il popolo di Peretola e Petriolo / memore / MDCCCLXXXXV». Sulla sinistra fu invece affissa nel 1948 una lapide in marmo bianco all’indomani della Liberazione: «Guerra di Liberazione Nazionale / 1943-1945 / Ispirati dall’Eroe invitto / caddero / i partigiani per la redenzione d’Italia. / Il popolo grato / ricorda e vigila sulle libertà conquistate. / Peretola MCMIIL», la quale, come ha fatto notare Sheyla Moroni, ha inserito questo Garibaldi «nel solco della tradizione che vede parallele nella lettura politica la ‘liberazione’ nazionale risorgimentale e quella dai nazi-fascisti». Recentemente (2010) il monumento è stato restaurato anche grazie all’intervento dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.

Tornando invece alla stele del 1946, scolpita dal professore carrarino Ezio Nelli, essa è certamente una testimonianza di quell’“urgenza” di «rendere pubblico il ricordo degli eventi bellici» da parte dei reduci dell’epopea garibaldina in territorio balcanico. Lo stesso colonnello Carlo Ravnich, ultimo comandante della Divisione “Garibaldi”, la presentò come «tributo di riconoscenza» verso tutti coloro che «per santa passione di vera libertà e amor di patria, generosamente fecero olocausto delle loro giovani vite sull’altare dei martiri». Pochi mesi prima dell’inaugurazione, il 3 marzo 1946, fu concessa la cittadinanza onoraria dal Comune di Firenze a due dei tre ufficiali che si alternarono alla guida della Divisione: il generale Giovanni Battista Oxilia ed il colonnello Ravnich. Questo riconoscimento, nel manifesto di avviso alla cittadinanza, intendeva «esaltare degnamente la somma di sacrifici, eroismi e di sangue di tutti i combattenti – in primo piano dei gloriosi caduti – della leggendaria Divisione che, sorta l’8 settembre 1943 per il volere unanime e cosciente dei fanti della fiorentina Divisione “Venezia” e degli alpini della piemontese Divisione “Taurinense” per diciannove mesi, fra le impervie giogaie del Montenegro, della Serbia e della Bosnia, combatté con indomito valore e senza conoscere sconfitta contro il secolare nemico di gran lunga più numeroso, ben equipaggiato e potentemente armato». Proprio a Firenze, su cui insisteva la Divisione di fanteria “Venezia”, poi confluita nel reparto militare partigiano intitolato all’Eroe dei Due Mondi, era sorto fin dal gennaio 1945 un Comitato «di assistenza morale e materiale a favore dei reduci, dei familiari dei Caduti, di coloro che ancora combattono, e, naturalmente, a favore dei combattenti stessi» della “Garibaldi”, la cui presidenza onoraria fu affidata a Piero Calamandrei, allora rettore dell’Università cittadina (presidente effettivo era invece Ettore Mannucci), che si insediò nei medesimi locali dell’Ufficio Informazioni, Assistenza e Propaganda della Divisione “Garibaldi” di via Venezia 5. Tra i primi proponimenti di questo Comitato spicca l’intento di invitare il gen. Oxilia affinché venisse «in forma ufficiale a Firenze» per rendere edotta la cittadinanza sull’«apporto di Firenze e della Toscana a questa guerra di liberazione nazionale». L’intento propagandistico era necessario «Perché il sacrificio dei caduti e dei vivi non sia vano e perché sia esempio e sprone ai giovani, specialmente in questo momento»: già all’inizio del 1945 si chiedeva pertanto al prefetto di Firenze «che l’epopea inimmaginabile di questa Divisione, toscana in massima parte, sia portata a conoscenza nella terra dei suoi eroici protagonisti, con una propaganda intesa di stampa, di riunioni, alla radio», tant’è vero che le notizie provenienti dai Balcani erano così scarse ed infrequenti che nel febbraio 1945 si sottolineava allo stesso Oxilia come «Solo da alcuni mesi centinaia e centinaia di famiglie hanno appreso, attraverso l’ufficio da Lei costituito in Firenze, che i loro cari vivono e combattono in quella eroica Divisione ch’Ella per primo trasformò e comandò nella dura lotta in terra straniera, contro il vero nemico della libertà e dell’Italia». In occasione del rimpatrio dei reduci dai Balcani (marzo 1945), il Comitato fiorentino di Assistenza rivolse un commosso saluto a coloro che furono protagonisti di quello «che è stato chiamato giustamente il secondo Risorgimento d’Italia, [che] ha visto voi lanciarsi per primi alla riconquista della grandezza della Patria, di quella grandezza che ebbe in Garibaldi e nei suoi Mille gli eroi più puri, così come la grandezza che sicuramente riconquisteremo l’avrà in voi». La stessa giornata del 2 novembre 1946, che vide infine l’inaugurazione della stele di Nelli, era stata inizialmente pensata (poiché non si era ancora certi delle tempistiche relative alla fine dei lavori scultorei) come puro momento di commemorazione dei «morti garibaldini di tutte le guerre e [di] quelli della Balcania, celebrando una Messa al Campo nel Quadrato riservato alle Camicie Rosse».

Ricostituito l’associazionismo garibaldino su basi repubblicane, la dirigenza dell’Associazione Nazionale Reduci Garibaldini (quindi Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini) per molti anni rimase a Firenze – seppur la sede centrale sia sempre stata formalmente a Roma fin dalla sua rifondazione – attorno ai reduci della Divisione “Garibaldi”, ai quali ancora oggi il sodalizio «deve la sua caratteristica di associazione combattentistica ma soprattutto il suo orientamento spiccatamente antifascista e democratico». Difatti tra la fine del 1945 e l’inizio del 1946 alcuni reduci della Divisione si riunirono a Firenze per costituire un proprio sodalizio, ma sotto la pressione di alcuni veterani i più si convinsero che fosse meglio confluire in massa nelle file dell’ANRG, «le cui tradizioni patriottiche e i cui scopi morali, fissati nello Statuto, erano in linea con i propositi e gli ideali dei reduci della Garibaldi». Venne quindi sancita «la fraterna fusione di due ben distinti periodi di Garibaldinismo: quello di ieri riguardante le campagne di Grecia [1897, 1912], delle Argonne [1914-15] e guerra 1915/18 […] con quello di oggi, nelle cui fila appaiono tutti quegli italiani che volontariamente sdegnando ogni rischio ed ogni forma di codardia, impugnavano le armi per combattere, dentro e fuori i confini della patria, in libere formazioni partigiane, che è quanto dire Garibaldine, l’invasore tedesco ed il sopraffacente regime totalitario vigente in Italia, concussore di ogni libertà politica del nostro popolo».

Il monumento «Ai Garibaldini caduti in Balcania» nel cimitero comunale di Trespiano
Il monumento «Ai Garibaldini caduti in Balcania» nel cimitero comunale di Trespiano

La memoria in questo luogo è ancora oggi viva come settantacinque anni fa, come testimoniano le annuali commemorazioni dell’istituzione della Divisione “Garibaldi”, che vede il 2 dicembre di ogni anno la posa di una corona d’alloro in memoria dei partigiani garibaldini caduti nei Balcani «per la Patria, per la libertà e per la civiltà democratica del mondo», e dalla recentissima richiesta avanzata dalla “Rete Democratica” al Sindaco di Firenze di inserire il Cimitero di Trespiano tra i luoghi della memoria del 25 aprile (Festa di Liberazione) e dell’11 agosto (anniversario della Liberazione di Firenze), al fine di rendere doveroso omaggio agli antifascisti e partigiani che nel corso del tempo sono stati tumulati nel cimitero comunale, sia individualmente (Spartaco Lavagnini, i fratelli Rosselli, Gaetano Salvemini, Nello Traquandi, Ernesto Rossi, Enrico Bocci…) che in forma collettiva (si pensi ai monumenti voluti dall’Associazione Nazionale Ex-Deporati o dall’Associazione Nazionale Ex-Internati), senza dimenticare naturalmente la stele di Nelli «Ai Garibaldini caduti in Balcania» – a testimonianza di come l’intero sito appartenga ormai indissolubilmente alla storia resistenziale ed antifascista della città di Firenze, ed anche di come «Solo la camicia rossa esente da compromessi con la camicia nera può raccogliere la tradizione garibaldina».

Andrea Spicciarelli

FONTI e BIBLIOGRAFIA: F. Asso, Itinerari garibaldini in Toscana e dintorni 1848-1867, Firenze, Centro stampa Regione Toscana 2011; C. Calci, G. Virga, La campagna del 1867 nell’Agro Romano, Roma, Dunp edizioni 2018, p. 488; C. Ceccuti, Garibaldi e la Toscana, ovvero alle origini del mito in Garibaldi innamorato. La figura dell’eroe e il garibaldinismo in Toscana, a cura di A. Frontani e C. Pasquinelli, Firenze, Edizioni Polistampa 2009, p. 98; F. Conti, Il garibaldinismo in Toscana dopo l’Unità in Garibaldi e la Toscana, [Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale] 1983, pp. 33-44; F. Conti, Per una geografia dell’associazionismo laico in Toscana dall’unità alla Grande Guerra: le società di veterani e reduci in Con la guerra nella memoria: Reduci, superstiti, veterani nell’Italia liberale, a cura di A. Preti e F. Tarozzi, “Bollettino del Museo del Risorgimento” (1994), pp. 13-53; F. Conti, Aspromonte e Mentana. Memorie divise nell’Italia liberale in Da Custoza a Mentana. Ricasoli e Rattazzi alla sfida del completamento unitario 1866-1867. Atti del convegno di studi. Firenze, 10-11 novembre 2016, a cura di G. Manica, Firenze, Edizioni Polistampa 2017, p. 362; F. Conti, Le vie della patria. Memorie risorgimentali nell’odonomastica di Firenze dall’Unità alla Grande Guerra in La passione per la Repubblica. Studi dedicati a Martina Tesoro, a cura di A. Arisi Rota e B. Ziglioli, Pisa, Pacini 2019, pp. 112-124 (si ringrazia la Biblioteca del Collegio Ghislieri di Pavia per il reperimento di questo saggio); M. Degl’Innocenti, Il garibaldinismo tra democrazia e socialismo in Toscana in “Città e Regione”, n. 4 (1983), pp. 193-212; Fascio Democratico Garibaldino Fiorentino (Confederazione Toscana). Regolamento sociale, Firenze, s.n. [1900]; Firenze. Percorsi risorgimentali, a cura di S. Bietoletti e A. Scarlino, Firenze, Lucio Pugliese Editore 2005; A. Garibaldi Jallet, Tra fascismo e democrazia. Per una storia dell’associazionismo garibaldino in ANVRG. Storie narrate e documentate. Le sedi, i cimeli, gli archivi, a cura di A. Garibaldi Jallet e M. Stefanori, La Maddalena, Paolo Sorba Editore 2019, pp. 26, 36; G. Garibaldi, Memorie, Torino, Einaudi 1975, p. 408; E. Gobetti, La Resistenza dimenticata. Partigiani italiani in Montenegro (1943-1945), Roma, Salerno editrice 2018;S. Goretti, Garibaldi in Toscana in R. Bernardi et al., Campi s’è desta. La storia del Risorgimento in un borgo alle porte di Firenze. 1841-1882, Campi Bisenzio, NTE 2011, pp. 159-179; A. Gori, Tra patria e campanile. Ritualità civili e culture politiche a Firenze in età giolittiana, Milano, Franco Angeli 2014, pp. 113-126; A. Mario, Garibaldi, Genova, R. Stabilimento L. Lavagnino 1875, p. 130; Mentana e il suo monumento. Cenni storici per Aristide Pinci, Roma, Tipografia della Rivista Italiana 1890, p. 55; S. Morachioli, Monumenti alla Resistenza in Toscana. Appunti per una ricerca in Luoghi e simboli della memoria. 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Scheda redatta il 2 settembre 2021.